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Caravaggio: il pittore “maudit”
A prescindere dal periodo storico-artistico che si preferisca, Michelangelo Merisi da Caravaggio resta uno degli artisti più amati e ammirati della storia dell’arte. Un uomo complicato, irrequieto, che ha messo su tela luci ed ombre della sua coscienza.

Nonostante quattro secoli di storia trascorsa, Michelangelo Merisi da Caravaggio fa ancora immensamente e piacevolmente parlare di sé, più in qualità di “genio” che di “sregolatezza”.

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La sua produzione artistica è sparsa tra Firenze, Milano, Napoli, Malta e principalmente Roma: Galleria Borghese, Chiesa di S. Luigi dei Francesi – cappella Contarelli -, la Galleria Doria Pamphili, la Galleria Nazionale d’Arte Antica, S. Maria del Popolo – cappella Cerasi -, la Pinacoteca Vaticana, Basilica di S. Agostino in campo Marzio.

Caravaggio (1571-1610) ha lasciato, infatti, agli italiani un’eredità straordinaria, fondendo, più di ogni altro, “il divino empireo col terreno quotidiano” sporcando, non senza lo sdegno dei benpensanti di allora, le sue tele con mani e piedi di uomini che lui trasformerà in santi, senza però immaginare che la sua “pittura di luce”, stesse trasformando anche il mondo che lo circondava.

Una vita travagliata la sua, un percorso tormentato che anticipa il dramma dell’uomo contemporaneo: un cammino segnato da luci e ombre, che ad essa si oppongono, la ostacolano, determinando pause nel percorso evolutivo e temporanee inversioni, senza tuttavia escludere, nel suo complesso, l’avvicinamento alla Verità.

L’ombra, infatti, quale misura negativa, è necessaria perché la luce-assenza di oscurità-esista: luci e ombre si rincorrono, si inseguono nel tempo finito degli esseri umani generando bellezza, formando la trama della storia.

Nessuno prima di lui si era mai spinto con l’arte tanto in fondo nella natura umana, utilizzando modelli presi dalla strada. Parliamo di contadini, prostitute o garzoni di bottega. Una scandalosa provocazione per i suoi detrattori, ma anche il superbo vanto di quegli illustri estimatori – in primis il potente cardinale Del Monte – disposti a tutto pur di poter collezionare un Caravaggio.

Ogni quadro è una storia in cui lo sguardo e la luce imprigionano emozioni. È questo il vero segreto che fa di Caravaggio l’artista più ammirato di tutti i tempi. Sono i suoi contrasti dell’animo che rompono le regole, fino a indurre l’artista all’ennesimo irreparabile gesto di sregolatezza che sfocerà nel dramma con l’omicidio del notaio Tommasoni, per cui l’artista venne condannato a morte e fu costretto a una fuga precipitosa.

L’inquietudine della sua vita è così proiettata nella sua arte: non c’è spazio per la dolcezza, ma solo il dramma colto nell’immantinente del gesto ad essere ormai manifesto. I suoi colori, scuri ma mai neri, si fanno ombrosi e criptici. I soggetti rappresentati sono fortemente caratteriali e vibranti, tali da apparire “viventi”, illuminandosi dai proverbiali tagli di luce che solo Caravaggio ha saputo donare alle sue opere e che contribuiscono a mantenere intatta la sua grandezza universalmente riconosciuta.

Oltre alla drammaticità dei soggetti di primo piano, nelle sue opere emerge uno sfondo vivo, partecipe. Sovente vediamo il volto dell’artista immortalato come secondaria figura in contemplazione, quasi a testimonianza di un evento altamente tragico, una “firma” pittorica.

La frequentazione di pessimi locali portava l’artista ad incontrare gente di malaffare, dedita alle più svariate prepotenze da cui, spesso, ne veniva sopraffatto e, paradossalmente, era proprio in questi particolari stati d’animo, maledettamente tristi e solitari, che Caravaggio sapeva rendere il meglio di sé, sfogando la sua incontenibile rabbia nelle tele, rappresentando tutta l’aggressività e la violenza di cui era circondato.

La luce per Caravaggio arriva da ovunque lui decida che debba provenire, in una scelta totale, proprio come se di un dipinto lui ne fosse il regista e non solo l’autore. Così la luce interiore (Anima) rimane distinta da quella esteriore, riuscendo, in questo modo estremo, a rendere umana la stessa spiritualità fino a calarla nella carne di un corpo. In questo modo egli riflette un viaggio interiore, un tormentoso peregrinare tra i moti dell’animo, tra luci e ombre appunto, ombre che servono a custodire la luce come un bene prezioso, ombre che sono tende e drappeggi che appena scostati fanno penetrare raggi densi di pulviscolo e rendono i colori più squillanti.

Non sarà neppure un caso che tra i colori, quello che più spicca è il rosso che vibra di mille sfumature, più di ogni altro: dal rubino al porpora, dal bordeaux all’amaranto, si piega a farsi materia pura, dal velluto al lampasso al sangue. Caravaggio, il sangue, lo dipinge drammaticamente: dalle teste mozzate di Golia, schizza potente da quella di Oloferne, lo rappresenta già raffermo in quella del Battista sul piatto e, infine, come una pozzanghera che si forma mentre la spada cala sul collo di Giovanni.

E poi c’è la carne, l’indefinibile colore della carne: i gialli, gli arancioni, i bruni, persino i verdastri usati per i cadaveri: tutti lumeggiati dai bianchi, che squarciano neri e marroni e s’imprimono negli occhi. Le carni macilente dei San Gerolamo e quelle sode del Battista, corpi vecchi e giovani che vengono indagati nelle pieghe della pelle, nel tendersi dei muscoli, nell’affiorare di clavicole, omeri e tendini.

Tutto, dai colori ai soggetti, dal modo di dipingere alle vicende personali, ci porta nella leggenda dell’artista ribelle, violento, del pittore “maudit” che, più di tutti, ha saputo delineare il tormento non solo del suo tempo, ma anche di noi contemporanei, lontani ormai più di 400 anni.



 Commenti (1)
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  1. heyholetsgo, Pistoia (Toscana)
    Il sacrificio di Isacco agli uffizi. Da vedere assolutamente


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