Quando il nostro personaggio “virtuale” ci fa dimenticare chi siamo veramente.
Chi non ha mai sognato di essere il protagonista di un libro, di un film o di una serie TV? Oggi tutto questo è stato reso in parte possibile dai social: sulla nostra pagina di Facebook, Instagram o Tiktok tutti siamo i personaggi principali della nostra personale auto-narrazione.
Link sponsorizzato
Sui social è normale incontrare persone (o forse anche tu sei una di loro) che raccontano ai follower la loro vita come se fosse uno spettacolo a puntate. Non si tratta semplicemente di condividere foto delle vacanze o del loro vassoio della colazione, ma di circondare tutto questo con una narrazione convincente e accattivante. I follower seguono queste persone proprio come seguirebbero il personaggio di una storia “fiction”.
Chi riesce ad ottenere più consenso è di solito chi ha l’abilità di costruire una narrazione coerente e interessante su una delle proprie particolarità. Ne sono un esempio i modelli alternativi, i profili “recovery” di chi racconta la propria vita alle prese con qualche malattia, i profili di attivisti che diffondono un messaggio cucendolo strettamente alla propria personalità, i profili di persone che si impegnano in sempre nuove “challenge” per stupire il pubblico, eccetera.
È lecito chiederci, in questo scenario, quanto del nostro volto “social” è reale e quanto è invece frutto di una auto-narrazione, di una “sindrome del personaggio principale” in virtù della quale ci sforziamo di essere più interessanti di quanto non siamo.
A questo proposito è stato condotto un importante studio chiamato Self-Presentation Theory: Self-Construction and Audience Pleasing, cioè “Teoria dell’autopresentazione: costruzione di sé e soddisfazione del pubblico”. Questo studio analizza l’espressione della personalità individuale come desiderio naturale, alimentato e fortificato dal gradimento del pubblico (non più solo applausi fisici, ma anche semplici like e condivisioni).
Va detto a onor del vero che nessuno, proprio nessuno è veramente se stesso quando sa di essere osservato. Se così non fosse, non esisterebbero per esempio gli attori: basterebbe mettere in un film che parla di gangster un vero gangster, in un film che parla di tradimenti dei veri traditori… Tutti cambiamo il nostro comportamento quando siamo al cospetto della società, e anche sui social ci muoviamo come ci muoveremmo su un palco illuminato.
Il problema di quella che ormai è chiamata “sindrome del personaggio principale” è che tante persone, “drogate” dall’appagamento dei like, sono spinte a modificare il loro comportamento con il solo e unico scopo di piacere, finendo per dimenticare chi sono veramente. Portare avanti comportamenti pubblici distanti dalla propria personalità significa fondamentalmente essere vittime di un’insicurezza costante, che può indurci a voler meno bene alla parte più genuina di noi, coltivando quella più arida e falsa nella speranza che sembri più accettabile.
Perciò va bene interpretare un personaggio sui social, perché tutti lo facciamo, ma ricordiamoci di sottoporre a critica costante questa parte un po’ falsa di noi, a riderci sopra, a ridimensionarla e a non permettere di sostituirsi al nostro vero io.