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"Non l'amo più ma non voglio che soffra"
Lasciare un partner per cui non si prova più amore, soprattutto quando ci si innamora improvvisamente di una terza persona, può essere un passaggio traumatico e tuttavia necessario. In questi momenti dobbiamo esprimere al massimo la nostra natura di uomini e donne coscienti, decisi ma gentili.

La frase che abbiamo scelto come titolo per l'articolo di oggi, metà del genere umano l'ha pensata e l'altra metà se l'è sentita dire: "Voglio lasciarlo/a ma non voglio che stia così male", "Ti lascio, ma odio vedere la tua sofferenza".

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Molte persone si sono trovate a veder finire improvvisamente una storia d'amore più o meno felice, più o meno stretta, per l'arrivo di un'altra persona nella vita del partner. Questo è di solito il motivo che spinge colui o colei che lascia a rendersi conto che non ama più il proprio compagno/a e a decidere di terminare una relazione in modo così improvviso e definitivo, salvo una remora molto importante: la paura e il senso di colpa legati all'essere o sentirsi causa di tanta sofferenza nell'altro.

Alcune persone reagiscono alla separazione in modo decisamente traumatico, anche con veri e propri attacchi di panico e crisi depressive. Nessuno vorrebbe essere causa di tanto dolore, soprattutto quando i sintomi sono così devastanti.

Comunicare al partner la propria decisione di terminare il rapporto è tra le sfide più difficili che si devono affrontare nel corso di una storia d'amore. Per questo molti tardano a farlo, temendo di confrontarsi con la sofferenza e il dolore dell'altro e di farsene fagocitare: unico risultato? Un aumento della sofferenza nel partner "abbandonato".

Per quanto sia difficile, non è possibile evitare il confronto, e sarebbe d'altronde sbagliatissimo scegliere di mantenere in piedi la relazione pur di non sentirsi carnefici dell'altro. Occorre la massima sincerità e serve decisione nell'affermare la propria scelta, ma anche una gran dose di empatia.

È concreto il rischio, in questo frangente, di temere così tanto la sofferenza altrui da aumentarla inconsapevolmente con apparente possibilismo o, al contrario, con un rifiuto improvviso e violento. Dunque, ci vuole onestà ma ci vogliono anche tatto e comprensione.

Tutti vorremmo essere buoni e stare dalla parte giusta in qualsiasi momento, eppure è decisamente infantile tentare di ricoprire quel ruolo a tutti i costi. Anche se non vogliamo, affermare chi siamo e cosa desideriamo causerà inevitabilmente una sofferenza più o meno grande negli altri. Ma questa sofferenza sarà decisamente minore se riusciremo a comportarci in ogni momento come persone adulte e consapevoli.

Il "no" è duro da accettare e il partner lasciato potrebbe comportarsi proprio come un bambino che piange disperato, che si butta per terra, che urla di fronte a un divieto. Ma sta a colui che lascia, più che al lasciato, comportarsi per un momento come un "buon genitore" in grado di reggere i paletti che ha posato. L'onestà, l'autocontrollo, la compassione rendono anche un "no" definitivo una occasione di crescita, una ferita rimarginabile, una sofferenza utile. Comportarsi da vigliacchi o scappare senza dare spiegazioni creerà invece nell'altro un dolore molto più difficile da affrontare.



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