Hai mai desiderato di essere “più normale”? Probabilmente ti sbagli. Se vogliamo trovare la serenità dobbiamo iniziare a decostruire la nostra idea di normalità.
Hai mai pensato, con un filo di inquietudine, di non essere normale? Hai mai inseguito, come se fosse un risultato da raggiungere, la tua idea di normalità? Potresti esserti preoccupato per qualcosa che non esiste.
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Il concetto di normalità, coniato poco più di due secoli fa, corrisponde all’idea di “media statistica”. Inizialmente questa parola veniva utilizzata per descrivere il corpo umano, uno standard che fu stabilito misurando le proporzioni dei corpi dei soldati scozzesi per realizzare uniformi e vestiti per la popolazione civile. Già conoscere a cosa facciamo riferimento quando parliamo di normalità ci accende una lampadina: nessuno può essere normale perché la normalità deriva da un calcolo matematico: chi mai potrà incarnare veramente l’uomo medio? Nessuno.
Sappiamo di essere tutti diversi, perciò non normali. Il detto “visto da vicino nessuno è normale” riassume proprio questa verità. Più ci avviciniamo a una persona più ci rendiamo conto che il suo corpo e la sua mente sono unici, plasmati dalla genetica e dalla storia di vita.
Anche se restiamo nel “macro”, va considerato che il concetto di normalità cambia nel tempo. Una volta lo schiavismo, la sottomissione della donna e un sacco di altre pratiche erano considerate normali, mentre oggi le troveremmo aberranti. Lo standard è illusorio anche quando ci riferiamo a concetti come “vero”, “giusto” e così via. Insomma, non solo essere diversi è la normalità, ma questa nemmeno esiste in senso assoluto!
Ma perché ci teniamo così tanto a definirci normali? Le ragioni principali possono essere due:
- Abbiamo bisogno dell’approvazione degli altri, per questo pensiamo che rientrando nella norma avremo più chances di essere accolti in un gruppo.
- Abbiamo paura del giudizio degli altri, paura dell’abbandono, paura del rifiuto. Pensiamo che deviando dalla norma e dai suoi standard verremo allontanati.
Anche le persone che amano definirsi alternative possono essere incastrate nell’idea normalità: nella loro ribellione cercano comunque di appartenere a un gruppo definito da standard particolari. Ad esempio chi ascolta un genere musicale specifico o ha un modo di vestire “diverso” fa riferimento comunque a uno standard di stile e di comportamento. Il desiderio di appartenere a un gruppo (o a un sottogruppo) riguarda quasi tutti noi.
Ma i modelli che inseguiamo non possono mai rappresentarci integralmente. L’omologazione genera insoddisfazione, e questa insoddisfazione viene poi sfruttata dalle aziende per alimentare l’economia. Infatti chi non si sente a suo agio cercherà probabilmente di acquistare qualcosa che lo faccia sentire più aderente al suo gruppo di riferimento, riempiendosi di cose inutili che hanno il solo scopo di farlo sentire più normale. Pensiamo all’ultimo modello di cellulare, ad esempio, che è considerato indicatore di uno status e serve a illudersi di rientrare nello standard di persona benestante e al passo coi tempi.
Dobbiamo iniziare a decostruire l’idea di normalità se vogliamo veramente essere felici. Questo significa compiere un viaggio dentro di noi, entrando in contatto coi nostri veri bisogni e desideri. Davvero vogliamo quello che – pare- vogliono tutti gli altri? Davvero ci interessano certe pratiche che sembrano così comuni? Davvero la nostra famiglia e la nostra coppia devono essere aderenti a quello che –pare- caratterizzi tutti gli altri? Ricordiamo il mantra “visto da vicino nessuno è normale”. Più impariamo ad analizzare la nostra vita e la nostra persona più ci rendiamo conto che la media statistica è solo un numero, mentre la nostra anima contiene moltitudini.