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Gli amici hanno l'”obbligo” di sopportare i drammi?
Essere un buon amico non significa trasformarsi in un terapeuta disponibile 24 ore su 24.

Sappiamo che non c’è spalla migliore di quella di un amico quando ci si sente tristi. Amicizia significa condividere gioie e dolori, restandosi accanto con lealtà. Questo però non vuol dire che un’amicizia debba diventare “a senso unico”, dando luogo a una situazione in cui una delle due parti non fa altro che lamentarsi e cercare sostegno.

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Ci sono persone a cui diamo una mano e che si prendono un braccio. Questo accade in tutte le situazioni, al lavoro, in famiglia, in amore e anche in amicizia. Già Platone sosteneva che “gli amici spesso diventano ladri del nostro tempo” precipitandoci in una sorta di schiavitù emotiva nella quale siamo obbligati a dar loro corda. Ma obbligati lo siamo davvero?

Un amico non è uno psicoterapeuta gratuito a cui ci si può rivolgere 24 ore su 24. Chi la pensa così, oltre a sfruttare le persone, manifesta un’idea sbagliata di cosa sia l’amicizia. C’è una differenza, ovviamente, tra il confidarsi chiedendo aiuto ogni tanto e il riversare tutte le proprie lacrime (o lacrimucce) su una persona. L’amicizia, come abbiamo detto, si basa sulla condivisione dei dolori, ma anche delle gioie, e questo è il punto fondamentale: in un vero rapporto amicale devono esserci equilibrio e reciprocità. Non trasformiamo questo rapporto così bello nel “confessionale” di una sola persona!

Ci hanno sempre detto che essere un buon amico significa sapersi sacrificare, dare sostegno agli altri senza badare troppo a sé. Se evadiamo da questo obbligo ci viene detto che siamo cattivi amici, oppure siamo noi per primi a sentirci in colpa. Questo non è corretto, ma è un pensiero molto ricorrente che si nutre anche della paura di perdere i legami.

Uno studio condotto all’Università di Harvard ha evidenziato però che chi offre il proprio supporto in modo costante e unilaterale ha più probabilità di sviluppare problemi di ansia. È perciò necessario, per il nostro equilibrio mentale, uscire dal ruolo di “psicologi” dei nostri amici perennemente in crisi e ricominciare a metterci al centro del discorso, o quantomeno alla pari.

Come farlo? Ecco tre consigli:

  • È utile indirizzare la persona verso altri mezzi di espressione dei propri drammi, ad esempio suggerendole di tenere un diario o di andare da uno psicologo. Ricorda sempre che tu non sei e non devi essere un terapeuta e perciò afferma gentilmente che non è tuo compito risolvere i suoi problemi.
  • Esprimi ciò che provi. Se ti senti esaurito per via del carico di problemi che ti è piovuto addosso, puoi dirlo. Se il ruolo di confidente ti fa sentire stressato, puoi esprimerlo. Se l’amicizia è sana, la persona capirà; se è un rapporto tossico potrebbe raffreddarsi, ma sarà meglio per te.
  • Incoraggia l’amico “problematico” a smettere di lamentarsi e trovare soluzioni. Cerca per quanto possibile di proporre alternative pratiche alla lamentela.

Se tutto questo ti fa sentire in colpa, ricorda che l’amicizia sana si basa su quanto entrambe le persone tengono alla relazione. Se tu e il tuo amico siete veramente legati non lo perderai per questo, anzi, lo aiuterai a crescere.



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