Parlare a noi stessi con un pizzico di gentilezza in più, ecco cosa insegna la regola d’oro al contrario.
La cosiddetta “regola d’oro” viene generalmente attribuita all’antico filosofo cinese Confucio. Interrogato da un discepolo su quale insegnamento potesse essere praticato tutto il giorno e tutti i giorni, rispose: “Non fare agli altri quello che non vorresti sia fatto a te”.
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Questa regola d’oro ha a che fare con lo shu, un concetto che ha il significato di “considerazione”, “confronto con se stessi” e anche “empatia”. Lo shu invita a mettere la propria esperienza a confronto con quella degli altri senza partire da una posizione di superiorità.
Difficile dissentire dal precetto della regola d’oro, ma se ci riflettiamo un attimo molto spesso siamo noi i primi a trattarci male. Se ci denigriamo pubblicamente, se rinunciamo a soddisfare i nostri bisogni, se ci flagelliamo e ci critichiamo nessuno verrà certo a dirci di smettere, nessuno alzerà la voce per difenderci. È per questo motivo che dobbiamo essere i primi ad avere considerazione di noi stessi.
Il filosofo Iddo Landau propone, non a caso, di seguire una “regola d’oro al contrario” che recita così: “Non fare a te stesso quello che non faresti neanche al tuo peggior nemico”.
Non è un’esagerazione dire che spesso ci trattiamo con una cattiveria che non riserveremmo nemmeno a chi non sopportiamo. “Sei un disastro”, “Non vali niente”: quante volte diciamo a noi stessi queste frasi? Oseremmo dirle al collega di lavoro che ci sta antipatico, al nostro vicino di casa fastidioso? Se guardassimo indietro nel nostro passato, è probabile che troveremmo pochi episodi nei quali di fronte a un errore abbiamo trattato noi stessi come amici e non come avversari.
Ma qual è il motivo per cui tendiamo a essere così duri con noi stessi? La risposta viene dalla società della performance in cui siamo immersi: viviamo in un mondo dove l’impegno è elogiato al massimo ed è richiesto un miglioramento continuo da attuarsi ad ogni costo.
Fin da bambini, molti di noi hanno assimilato l’idea che l’amore debba “essere meritato” facendo i bravi e soddisfacendo le aspettative. È facile passare dalle pressioni esterne a quelle interne: il ruolo di controllore che hanno prima i genitori lentamente, con la crescita, passa a noi, che diventiamo i primi a flagellarci se sbagliamo.
Pensiamoci un attimo: cosa ci guadagniamo se ci autopuniamo ogni volta che deviamo dalla nostra rotta? Non ricaviamo certo della motivazione in più. Al massimo possiamo sviluppare una forte paura del fallimento, che può anche portarci a non voler più ritentare un’impresa che inizialmente è parsa senza esito.
Quando ci trattiamo male erodiamo la nostra autostima e autoefficacia e contribuiamo a perpetuare un sistema sociale che privilegia il sacrificio a discapito del benessere. Non permettiamo a noi stessi e agli altri di uscire da un paradigma basato solo sui concetti di successo e fallimento, dove quanto riesci a sopportare è molto più importante di chi sei.
Ecco che la regola d’oro al contrario viene in nostro soccorso invitandoci a guardare noi stessi in modo diverso, con più indulgenza e affetto. Questo cambiamento è nelle intenzioni, ma anche nelle parole: urge cambiare il modo in cui ci rivolgiamo a noi stessi. Destiniamo alla nostra anima solo frasi incoraggianti e gentili!
La regola d’oro al contrario non è un invito al narcisismo o all’autoindulgenza eccessiva. È semplicemente un promemoria che anche noi meritiamo la stessa gentilezza che riserviamo agli altri.