Ciò che alcuni chiamano "legge del distacco" è un allenamento continuo, una sfida con se stessi per trasformare l'attaccamento morboso nei confronti delle persone in una fonte di gioia e stupore quo-tidiano.
Alcune filosofie, come quella buddista, hanno tra i loro pilastri la "legge del distacco". Se, infatti, perdere qualcosa cui si è molto legati causa estrema sofferenza, allenarsi a tenere continuamente una distanza tra se stessi e i propri desideri sembra essere la soluzione per evitare il dolore.
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Esercitare il distacco non significa smettere di provare amore per un oggetto, una persona, o perdere la passione per un obiettivo. Significa, piuttosto, non permettere mai ad alcunché di diventare necessario per la nostra sopravvivenza. Ciò significa costruire un "centro forte" dentro noi stessi, trovare il giusto equilibrio tra noi e il mondo ed essere allenati a lasciar andare qualsiasi cosa -tranne ciò che non possiamo né dobbiamo mai perdere: noi stessi.
Come si può immaginare, il distacco emotivo non è un obiettivo semplice da raggiungere: anzi, si tratta dell'ultimo stadio di un percorso interiore lungo anni e anni, per giunta irto di difficoltà.
Non tutti dobbiamo o possiamo diventare dei saggi buddisti e passare anni a meditare sull'atarassia. Che cosa possiamo fare per rendere questa titanica impresa, il distacco, un po' più accessibile e praticabile per noi?
Prima di tutto, possiamo smantellare alcuni preconcetti che avvelenano la nostra percezione, portandoci più male che bene. Infatti, nelle relazioni moderne, si tende ad avere un rapporto malsano con l'attaccamento. Siamo governati da un desiderio disperato di restare soli e da una paura, altrettanto pungente, di legarci davvero a una persona.
La legge del distacco dovrebbe insegnarci a gestire l'attaccamento (che, anche quando è negato, non smette di essere presente come categoria) e insegnarci a far leva sull'amore più che sul bisogno, sull'accettazione più che sulla volontà.
Potremmo iniziare cercando di cambiare alcuni dei nostri pensieri e delle nostre parole. Frasi come "sei mio/a", "ho bisogno di te", "se mi lasci io morirò", dovrebbero essere modificate e ridiscusse. Se crediamo di poter possedere le persone o riteniamo di avere bisogno di loro per esistere ci inseriamo, senza volerlo, proprio in quella logica di attaccamento che ci impedisce di praticare il sano distacco. Dovremmo dunque cambiare le frasi che usiamo e, di conseguenza, cercare di partorire nuove categorie di pensiero.
Stare accanto a una persona sapendo che tutto ha fine e che, dunque, il nostro percorso accanto a lei non sarà eterno; affrontare una storia d'amore accettando che prima o poi saranno presenti allontanamenti, sofferenze, persino tradimenti non significa partire con il piede sbagliato e assumere un atteggiamento disfattista, ma significa sforzarsi di vivere pienamente l'oggi senza pensare al domani. Cerchiamo di allenarci a raccogliere ogni giorno quanto ci viene dato come se nulla fosse dovuto e a non spingere i nostri piani troppo lontano: questo modo di vivere è pensato per combattere ansia e frustrazione.
La legge del distacco dovrebbe insegnare quindi a non dare nulla per scontato, non facendo dipendere da nulla la nostra felicità. Dovrebbe anche allenare alla gratitudine per la spontanea bellezza della vita.
"Forse domani le cose andranno diversamente, ma oggi tu sei qui e io sono felice. Ringrazio la vita per questo".