Con la diffusione della pandemia, le nostre abitudini sono cambiate, così com'è mutata la lista delle priorità. L'emergenza sanitaria ha inciso profondamente su molti aspetti della nostra quotidianità, ma soprattutto sul modo di comunicare dell'essere umano. Internet ha reso possibile lo shopping online, le video lezioni a distanza e permesso, a chi ne fosse provvisto, di non isolarsi dal mondo.
Oggi, più che mai, i dispositivi informatici vengono utilizzati ampliamente tra le mura domestiche per molteplici usi e funzioni, in conseguenza dei continui stop alla normalità e al rallentamento delle attività produttive e commerciali, introducendo così l'era "Phygital", un connubio tra mondo reale e virtuale, applicabile in molti settori della vita.
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Che cos'è l'esperienza phygital? Il phygital collega due ambienti: l’online e l’offline: dall'ambiente digitale prende l'immediatezza, l'immersione e la velocità; da quello fisico la possibilità di interagire con le persone, con il prodotto, ecc.
Oggi il digitale esiste a prescindere dalla manifestazione fisica, l’inizio e la conclusione dell’interazione con uno strumento non coincidono più con l’inizio e la conclusione del suo utilizzo fisico. Esiste attualmente un territorio, nella vita delle persone, in cui la tecnologia unisce l’analogico e il digitale e in cui il mondo dal vivo, prima scollegato, e offline si fonde ora con il mondo dell’online, interconnettendosi. Da qui il neologismo live+online = “onlife” ed è lo spazio dell’ecosistema in cui viviamo e in cui vivono e vivranno i nostri discendenti: lo spazio fisico-digitale, “physical + digital”, brevemente “phygital” o in italiano “figitale”.
Questo nuovo Rinascimento digitale, nato dalla continua introduzione della tecnologia in tutte le discipline, dalla medicina, l’ingegneria, ma anche la sociologia, le scienze umane, integra e sfuma prodotti in servizi e viceversa, fino a non riuscire più a poter distinguere l’uno dall’altro. Si possono lasciare fiumi di dati digitali, senza aver mai commesso alcunché nel mondo reale: bitcoin transati con pochi gesti da un conto ad un altro, brani musicali acquistati insieme a interi LP senza mai aver ascoltato altro che la nostra playlist preferita…in alcuni casi, i dati cominciano a fluire prima ancora che si originino nel mondo fisico, acquistando online i biglietti del teatro, del cinema, della squadra del cuore prima dello spettacolo o del match. Il digitale non è più una alternativa al fare, ma è connesso, fuso, nell’atto creativo, per realizzare ciò che serve.
Non si interagisce soltanto “acquistando”, si interagisce con la bilancia collegata in wifi, con lo smart-watch, con il braccialetto per il fitness che rimpalla sul nostro smartphone, e dunque in cloud, i dati della nostra sessione di aerobica. “Tecnologie indossabili” ma anche “estrattori di dati” che raccontano come siamo fatti e come – e se – siamo in salute. Ma anche oggetti “intelligenti” che abitano ormai le nostre case.
Giusto per avere un’idea, secondo IDC nel 2018 il comparto delle tecnologie indossabili ha movimentato 279 milioni di prodotti (nel 2017 erano 125,3 milioni). Da qui al 2023, l’aumento delle vendite di smartwatch e tutti gli altri dispositivi indossabili (tra cui rientrano i vestiti intelligenti) farà registrare al mercato smart wearable una crescita annua pari a un +8,9%.
Molto più pragmaticamente, notiamo che ormai anche nel mondo del lavoro si nota una domanda di Big Data experts o ingegneri pronti per il mercato dell’Internet of Things per le aziende, che devono essere adeguatamente preparati ad estendere le proprie vision ben al di là degli attuali confini e a sfruttare il valore aggiunto della connessione figitale attraverso l’interpretazione di dati “sommersi” che ormai continuamente scaturiscono dalle interazioni fin qui descritte nel mondo reale. La parte solo software (digital), è quello a crescita più elevata (+37%), seguito dai servizi (+23%) e poi dal physical: risorse infrastrutturali (+9%).
Per i settori, invece, a primeggiare sono le banche (28%), seguite da manifatturiero (25%) e telco – media (14%), dai servizi (8%), GDO/Retail (7%), assicurazioni (6%), utility (6%) e sanità (6%).
La moneta elettronica: sempre più smart è passata all’utilizzazione per medi servizi (pagamento del casello autostradale, del ristorante, acquisti) all’utilizzo per microservizi: telefonate in aereo, pagamento al bar, microacquisti online.
Anche la telemedicina fa la sua parte: la delega dei servizi di controllo delocalizzata rispetto ai grandi centri ospedalieri per facilitare la penetrazione capillare nel territorio su controlli ripetitivi: controlli pressori, cardiovascolari, glicemici, audiologici, e dunque micro-bot-tizzata in apparecchiature diagnostiche, miniaturizzate al punto da essere facilmente trasportabili o installabili in postazioni più vicine ai cittadini o domiciliate direttamente in casa del paziente.
Attitudini richieste, ma anche (dietro consenso dell’utente) abitudini personali memorizzate per rapidità di interazione, per lucro delle aziende fornitrici che ne fanno cloud per bigdata analysis.
Nascono sempre più città figitali, o “smart-city”, che vedono i sistemi cittadini non più soltanto come una pipeline da interconnettere, ma anche e soprattutto da intrecciare con i dati, per rendere i servizi non solo più efficienti, ma per vederne sorgere di nuovi.
Se tutta la nostra vita, ormai, non solo nel mondo della comunicazione, ma anche negli ambienti d’elezione quali l’informatica, l’elettronica e le telecomunicazioni, sino alla didattica sono invasi dal digitale, sono necessarie nuove sfide, in primis quella di fornire agli utenti, ai cittadini e ai dipendenti, gli elementi per interagire con questi nuovi mezzi figitali.
L’inizio e la conclusione dell’interazione con uno strumento non coincideranno più con l’inizio e la conclusione del suo utilizzo fisico. Ottanta anni fa, prendere un treno iniziava con il gesto fisico di recarsi alla stazione ferroviaria ed acquistare il biglietto a stretto ridosso dell’uso del treno, e alla discesa alla stazione ferroviaria di arrivo, l’esperienza aveva termine, tutto cominciava con un gesto fisico di comporre i bagagli, chiudere dei vestiti in una valigia, scegliendoli scommettendo sulle condizioni climatiche d’arrivo. Oggi, la stessa esperienza inizia nel momento dell’intenzione. Già nello scorrere il sito web per le stazioni di arrivo e per gli orari, per le previsioni meteo locali, lasciamo una scia digitale di informazioni circa le nostre intenzioni e subito veniamo supportati da pop-up sulle informative, sulle opzioni che ci corredano di altre informazioni, in sostanza aiutati a fissare l’inizio dell’esperienza e concludendo la transazione d’acquisto da casa, i nostri bagagli ancora da preparare, i vestiti ancora da indossare; abbiamo modificato l’ambiante circostante, da qualche parte, qualcuno nell’azienda ferroviaria, o già nell’albergo, sta modificando i pasti, il vagone e i posti di occupazione per preparare un viaggio che si terrà ancora più in là nel tempo, ma il cui processo ha già avuto inizio: approvvigionamenti, setting, preparazione, acquisti, carburante etc.
Le nuove generazioni leggono e scorrono pagine Instagram e attraverso il gesto del “like” cambiano il proprio futuro digitale auto-schedando le proprie preferenze, e i propri gusti e del destinatario, decretandone il successo in quanto influencer. E cos’è un “influencer” se non qualcuno che ha imparato la difficile arte di lavorare al confine tra le azioni fisiche e le intenzioni digitali?
Sulla base delle considerazioni sviluppate finora si impone quindi un primo imperativo da seguire: adottare una visione sistemica e diffondere a molti livelli una corrispondente cultura. Ciò significa introdurre nei processi formativi, sia in ambito scolastico che nel contesto del management pubblico e privato, input tecnico-scientifici e concetti innovativi quali: teoria dei sistemi complessi, interdipendenze e feedback loop, approccio multi-livello, sistema complesso adattativo.
Data la natura globale dei problemi, la loro risoluzione non è possibile senza la collaborazione internazionale, quindi senza un nuovo multilateralismo, anche se è necessario non nascondersi le difficoltà nel realizzare scenari di questo tipo in un contesto di radicali mutamenti geopolitici, denso di confitti locali con elevate possibilità di un loro ampliamento.