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Perché il dolore del rifiuto si attiva anche con gli sconosciuti?
Alcune ricerche hanno dimostrato che un “no” fa male a prescindere da chi lo dice.

L’esperienza del rifiuto è dolorosa per tutti, specialmente quando la persona che agisce il rifiuto è molto legata a noi, come nel caso di un genitore o di un partner. Ma un recente esperimento finlandese ha suscitato l’attenzione degli psicologi, in quanto suggerisce che la sofferenza per il rifiuto sia forte anche nei confronti di sconosciuti o in situazioni di simulazione.

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La ricerca condotta da Brain Science in via sperimentale ha coinvolto dei volontari, i quali si sono prestati ad alcune improvvisazioni teatrali. Nelle “scene” dovevano fingere, in vari modi, di rifiutare le attenzioni o la compagnia di qualcun altro. Ad esempio si simulava un rifiuto attraverso i gesti, oppure con un’interruzione delle proposte del compagno, oppure con la svalutazione verbale delle azioni compiute dall’altro.

Durante questi esperimenti si è potuto notare che il corpo delle persone rifiutate “per finta” rispondeva allo stimolo in modo doloroso, con un’alterazione di parametri come sudorazione, frequenza cardiaca e attività elettrocorticale. Insomma, il rifiuto fa male anche quando è solo simulato e per giunta da persone sconosciute.

Un articolo apparso su Social Psychology, una rivista dedicata alla psicologia, si intitola non a caso “Sconosciuto, amante, o amico? Per il dolore del rifiuto questo non conta”. L’articolo afferma che il dolore del rifiuto non è proporzionale alla strettezza del legame con una persona, ma piuttosto alla gravità del rifiuto. Essere messi all’angolo da uno sconosciuto con particolare rudezza e per lungo tempo è per noi più grave che sentire un “no” poco energico da parte del partner.

Sentirsi inclusi e accolti è un bisogno fondamentale di tutti gli esseri umani e questo è il motivo per cui il rifiuto scatena in noi reazioni potenti a prescindere da chi lo agisca. Pensiamo a un’epoca, neanche troppo lontana, in cui una persona tagliata fuori dal proprio gruppo sociale perdeva del tutto la possibilità di sostenersi. Ancora oggi una persona, magari giovane o fragile, che venga di punto in bianco sbattuta fuori di casa non avrebbe modo di cavarsela facilmente. Questo è anche il motivo per cui spesso le donne vittime di abusi e non indipendenti economicamente rimangono in relazione col loro aguzzino: “Se tu mi rifiuti, io che faccio? Come posso sopravvivere?”.

Questo è il principale motivo per cui il rifiuto è tanto difficile da mandare giù e per cui siamo così allenati ad allarmarci anche per i “no” più piccoli che ci vengono detti.

La reazione più tipica e automatica rispetto al rifiuto è certamente la rabbia. Questa si vede spesso quando ci sono in gioco dei bambini, più portati al comportamento istintivo. Altre reazioni comuni, tipiche delle persone adulte e di chi ha subito molti rifiuti nella vita, sono la svalutazione e l’autocolpevolizzazione.

Alcune persone sono particolarmente “attivate” negativamente dal rifiuto e lo temono così tanto da sviluppare dei disturbi psicologici. Tra questi il disturbo evitante di personalità, caratterizzato da un autoisolamento marcato e dalla paura per i legami stretti: tutti atteggiamenti che hanno il fine di prevenire il dolore di un possibile rifiuto, percepito come insostenibile.



 Commenti (2)
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  1. cri_cri62, Udine (Friuli-Venezia Giulia)
    L'esperienza del rifiuto, che capita a tutti prima o poi, ci fa un po' riflettere su noi stessi e quindi non è una cosa negativa. Serva a crescere, a conoscerci meglio. Il rifiuto è vissuto in maniera molto più dolorosa in coloro che pensano di essere così tanto superiori agli altri da ritenere impossibile un tale comportamento da parte del prossimo.
  2. leonardo81, Cagliari (Sardegna)
    dice saggio se bastone colpire corpo piangere se non colpire corpo non piangere


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