La ragione per cui facciamo fatica ad accettare una critica, reale o virtuale che sia, risiede nella nostra biologia.
Quante persone ricordano una brutta figura o una critica ricevuta a distanza di anni, di decenni? Accettare le critiche senza soffrire non fa parte della dotazione mentale di un essere umano ed è necessario intraprendere un percorso per superare il trauma del rifiuto o della derisione. Certi episodi possono perseguitarci per tutta la vita.
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Siamo fatti così: tra le molte memorie che possediamo, quelle dolorose ci rimangono particolarmente impresse. Ciò ha radici nella nostra biologia, in quanto gli stimoli negativi producono nella nostra corteccia cerebrale uno stimolo ben più forte rispetto a quelli positivi o neutri. Nel nostro cervello esiste una zona precisa, detta amigdala, che è la responsabile della reazione più animale e istintiva, il meccanismo “fuggi o combatti”. L’amigdala si attiva per rispondere a stimoli che suonano emergenziali alla nostra mente e quando ciò avviene il ricordo dei fatti avvenuti si sedimenta profondamente nel cervello.
I ricercatori hanno dimostrato che già tra gli 8 e i 14 mesi i bambini reagiscono più rapidamente quando vedono un volto arrabbiato rispetto a uno calmo e sorridente. Gli studiosi chiamano questa attenzione speciale per gli eventi traumatici “pregiudizio della negatività”, una predisposizione innata a dare più importanza al male che al bene. Questo ha un motivo evolutivo: l’individuo più attento ai pericoli ha più probabilità di sopravvivere nella “giungla”.
Quando le frustrazioni che si ricevono da bambini sono troppe, la mente potrebbe “anestetizzarsi” in una sorta di assuefazione e questo potrebbe compromettere la capacità di provare empatia da adulti. I soggetti che in qualsiasi momento della vita sono bersagliati da troppe critiche diventano meno sensibili alle emozioni negative (una sorta di autoprotezione per non soffrire troppo) ma perdono anche parte della capacità di emozionarsi per le buone notizie.
Come è facile immaginare, le critiche più dolorose da mandare giù non sono quelle rivolte dagli estranei, ma quelle che provengono da persone cui si vuole molto bene, familiari, amici o partner. La critica potrebbe rappresentare un tradimento dell’attesa rivolta a queste persone: infatti è normale aspettarsi che un partner esprima solo commenti ed emozioni positive e non si metta invece in condizioni di attaccare.
Non è un caso che lo studioso di fama internazionale John Gottman abbia elaborato un sistema in grado di prevedere il tasso di “divorziabilità” di una coppia con una precisione di oltre il 90%. Per lo studioso, la presenza di frequenti critiche tra partner è quasi certezza di una prossima separazione. Le coppie che sono destinate a scoppiare sono, più precisamente, quelle nelle quali il rapporto tra commenti positivi e negativi durante i litigi pende a favore di quelli negativi.
Reagire a critiche e commenti negativi è molto difficile e doloroso per tutti, anche se tra i sessi c’è una differenza: le donne hanno una maggior probabilità di interiorizzare le critiche, deprimendosi, mentre gli uomini tendono a reagire con rabbia.
Il fatto che al giorno d’oggi le critiche siano mosse di frequente nel mondo virtuale dei social non basta a far sì che il loro potenziale traumatico diminuisca, anzi. Sono molte le celebrità che, bersagliate dai cosiddetti haters, hanno dichiarato di voler chiudere un loro profilo social: tra queste l'attore Timothée Chalamet e le cantanti Billie Eilish e Selena Gomez.
Anche se il mondo virtuale appare più indiretto rispetto a quello reale, non per questo ciò che vi accade ha meno influenza sul cervello, in particolar modo nelle persone giovani. I ragazzi, per natura ipersensibili nei confronti dei feedback altrui, potrebbero essere danneggiati dall’apparente impunità che regna sui social, dove è molto più facile imbattersi in critiche e insulti.