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Cosa s'intende per l’espressione radical chic?
L’espressione “radical chic” è usata prevalentemente per indicare la presunta incoerenza di persone che si dicono politicamente di sinistra ma hanno redditi maggiori di quelli che un luogo comune anacronistico attribuirebbe loro. Proprio perché il termine è usato quasi sempre con un tono polemico, la sua storia è interessante, così come quella della nebbia semantica in cui è poi finito.

Radical chic è un'espressione inglese, corrispondente dell'italiano sinistra al caviale (calco del francese gauche caviar), per definire gli appartenenti alla borghesia che, per vari motivi (moda, esibizionismo o per inconfessati interessi personali) ostentano idee e tendenze politiche affini alla sinistra radicale o comunque opposte al loro reale ceto di appartenenza. Per estensione, la definizione di radical chic comprende anche uno stile di vita e un modo di vestirsi e comportarsi.

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Il termine “Radical chic” è formato dalla parola ingleseradical” – che vuol dire “radicale” nel senso dell’intensità dell’attivismo e degli obiettivi politici – e da quella francese “chic”, “raffinato”. Nella definizione del dizionario Treccani è sia un aggettivo che un sostantivo, e indica: «che o chi per moda o convenienza, professa idee anticonformistiche e tendenze politiche radicali». L’Oxford Dictionary precisa (in inglese “radical chic” è un concetto, non una persona): si tratta «dell’ostentazione», molto alla moda, di idee e visioni «radicali e di sinistra». Radicale, per moda.

Wikipedia esplicita un terzo elemento: al concetto di “radical chic” è associata anche la ricchezza, che si può sbrigativamente identificare nella frase “fai il comunista con il maglione di cachemire” (sinistra in cachemire, infatti, è una delle diverse varianti usate per concetti simili, come champagne socialist). Per il termine “Champagne socialist” Wikipedia spiega una cosa uguale e simmetrica: non un ricco che si atteggia artificiosamente a persona di sinistra, ma uno di sinistra che è ricco e ha abitudini da ricco in contraddizione con i suoi pensieri. Nell’uso comune, in italiano, “radical chic” è usato per definire entrambi i casi.

La versione inglese di Wikipedia dice che il “radical chic” è un esponente dell’alta società e della mondanità impegnato a dare di sé un’immagine basata su due pratiche: da una parte quella di definire sé stesso attraverso la fedeltà e l’impegno ad una causa, dall’altra a esibire questa fedeltà perché quella stessa causa è alla moda e qualcosa di cui si preoccupa. Un atteggiamento frequente è l'ostentato disprezzo del denaro, o il non volersene occupare in prima persona quasi fosse un tabù, quando in realtà si sfoggia uno stile di vita che indica un'abbondante disponibilità finanziaria o improntato al procacciamento dello stesso con attività che, qualora osservate in altri, un radical chic non esiterebbe a definire in modo sprezzante come volgarmente lucrative.

Inoltre, questo atteggiamento, sovente, si identifica con una certa convinzione di superiorità culturale, nonché con l'ostinata esibizione di questa cultura "elevata", o la curata trasandatezza nel vestire e, talora, con la ricercatezza nell'ambito di scelte gastronomiche e turistiche; considerando, insomma, come segno distintivo l'imitazione superficiale di atteggiamenti che erano propri di certi artisti controcorrente e che, ridotti a mera apparenza, perdono qualsiasi sostanza denotando l'etichetta snobistica.

La locuzione radical chic fu coniata nel 1970 da Tom Wolfe, scrittore e giornalista statunitense. Il 14 gennaio di quell'anno, Felicia Montealegre, moglie del celebre compositore e direttore d'orchestra Leonard Bernstein organizzò un ricevimento di vip e artisti per raccogliere fondi a favore del gruppo rivoluzionario Pantere Nere. Il party si tenne a casa dei Bernstein, un attico di tredici camere su Park Avenue, un ampio viale di Manhattan. Tom Wolfe scrisse un resoconto sulla serata, descrivendo in modo molto critico gli invitati, rappresentanti dell'alta società newyorchese. Ne risultò un articolo di ventinove pagine, pubblicato sulla rivista New York Magazine dell'8 giugno 1970, che uscì con l'immagine di copertina data dalla fotografia di tre donne bianche, vestite in abiti da sera, che salutavano col caratteristico braccio alzato e pugno chiuso con guanto nero, che costituiva il gesto di protesta delle Pantere Nere.

Dopo una breve introduzione, la prima parte del racconto di Tom Wolfe inizia così: «Mmmmmmmmmmmmmmmm». Sedici lettere, un’onomatopea per esprimere l’aria di appagamento che circolava in quella serata, ma anche che cosa Wolfe intendesse per “radical chic”: una specie di corrente, di moda, di milieu, un matrimonio pubblico molto ridicolo tra la buona coscienza progressista delle classi più ricche e la politica di strada, un corto circuito in cui alcuni rischiavano davvero, per le loro idee, e altri invece non rischiavano niente e in cui c’era l’illusione di una collaborazione e contaminazione tra diversi mondi e diverse classi sociali. La serata fu molto criticata ma Felicia Bernstein rispose pubblicamente difendendo la sua festa.

Fatto sta che il termine usato da Wolfe per descrivere l’atteggiamento dei Bernstein si diffuse ben presto in tutto il mondo, e in Italia si radicò ancora più che altrove e prese a indicare, in maniera inesatta, una persona o un atteggiamento, diventando anche aggettivo. L’espressione fu ripresa sul Corriere della Sera nel 1972 da Indro Montanelli, in un articolo rivolto a Camilla Cederna, la giornalista italiana che si era occupata della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dalla questura di Milano, dove si trovava accusato innocente dell’attentato di Piazza Fontana nel 1969.

Montanelli, con una sua sgradevole descrizione, contribuì già allora a far scivolare il concetto originario di “radical chic” verso la confusione condivisa che sta oggi intorno a questa espressione che rapidamente fu fatta propria da chi a destra voleva accusare qualcuno di sinistra di scarsa coerenza e successivamente adottata nelle polemiche interne alla sinistra quando il mondo cominciò a cambiare e gli elettori di sinistra smisero di essere prevalentemente “proletariato” in senso stretto.

Così oggi “radicalscìc” è diventato un insulto di uso comunissimo e destinato a persone dai redditi più vari e dalle posizioni più articolate. Con la contraddizione che attualmente i principali destinatari dell’epiteto sono persone che hanno posizioni niente affatto radicali, anzi sono gli oppositori della sinistra radicale. 

Ne esistono numerose  varianti: dal termine inglese e più specifico Bollinger Bolshevik (dove Bollinger è una sineddoche, indica la parte per il tutto), a quello australiano di “champagne socialist” e “chardonnay socialist”: presumibilmente lo Chardonnay per gli australiani sta allo Champagne per gli inglesi come il Roquefort per gli americani stava al caviale per i francesi.

A queste espressioni si aggiungono l’americana Limousine liberal  e la variante, sempre americana, di Latte liberal, dove “latte” sta per caffelatte che in America è associata, a torto o a ragione, a uno stile di vita urbano, liberal, dunque più o meno benestante.

Navigando online, abbiamo poi scoperto che in Brasile esiste un altro modo di dire, Esquerda Ballantine, che si sovrappone al più prevedibile “Esquerda caviar”. Infine, non possiamo non citare la locuzione Bourgeois Bohémien coniata nel 2000 da David Brooks, il commentatore del New York Times, con cui faceva un ritratto di una certe élite cultural-economica, borghese nel portafoglio, ma bohémien nell’anima, con cui l’Italia di oggi facilmente bollerebbe come radical chic.



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