La carne coltivata potrebbe rappresentare un valido sostituto della carne riducendo l’impatto ambientale degli allevamenti e la sofferenza animale.
Ormai sappiamo che la lotta ai cambiamenti climatici passa anche dalla tavola. Sono sempre più le organizzazioni che lanciano appelli ai cittadini per consumare meno carne, considerata la produzione alimentare in assoluto più inquinante. Secondo alcune stime infatti la filiera della carne è responsabile del 14% delle emissioni globali e impegna l’83% dei terreni coltivati (per il foraggio) anche se fornisce solo il 18% delle calorie consumate nel mondo. Uno “spreco” contro il quale sono in molti a cercare e proporre soluzioni, aggiungendo a tali considerazioni anche una nuova e moderna sensibilità per la sofferenza degli animali da macello.
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Per abbattere l’impatto ambientale della carne si sono proposte soluzioni diverse: dall’allevamento degli insetti per la produzione di farine proteiche a basso costo energetico alla diffusione dell’etica vegana con conseguente rifiuto di alimentarsi con prodotti animali e, di recente, all’idea della carne coltivata. A differenza della farina d’insetti questo alimento potrebbe essere accettato anche da alcuni vegani e aiuterebbe gli onnivori a mangiare etico e sostenibile senza dover modificare le loro abitudini.
Ma cos’è la carne coltivata? È un prodotto di ingegneria molecolare che consente di produrre in laboratorio del muscolo commestibile a partire da cellule staminali appositamente nutrite. Nel concreto, si tratta di prelevare cellule staminali da un animale, per esempio un maiale, senza ucciderlo e provocandogli solo una piccola cicatrice (come se si trattasse di una puntura). Le cellule vengono poi “coltivate” in laboratori appositi fino a che non evolvono in vero e proprio muscolo animale, lo stesso che normalmente viene prelevato dagli animali uccidendoli.
La differenza con tutti i tipi di carne sintetica realizzati prima è lampante: la clean meat, come viene chiamata in inglese, è a tutti gli effetti vera carne, non uno dei tanti sostituti che mimano consistenza e sapore ma sono in realtà realizzati con farine o glutine vegetale. Un hamburger di carne coltivata dovrebbe avere esattamente il sapore di un hamburger tradizionale, perché la sostanza di cui è composto è la medesima.
La clean meat è innovativa non solo per quanto detto sopra, ma in futuro dovrebbe abbattere in modo essenziale sia la sofferenza animale sia i costi di produzione: le cellule prelevate con una “punturina” da un singolo maiale possono produrre 50.000 tonnellate di carne, che per via normale richiederebbero la macellazione di circa 10.000 esemplari da una tonnellata considerando ossa e scarti. Ovviamente ad oggi la carne coltivata è un vero e proprio lusso, ma è normale considerando che tale tecnologia è ancora innovativa: in futuro potrebbe rappresentare invece un prodotto più economico di quello tradizionale. Ne è convinta l’UE che nel frattempo ha deciso di incentivare con due milioni di euro le aziende pionieristiche della clean meat.
Secondo una stima realizzata dai ricercatori dell’università di Oxford e di Amsterdam la produzione di clean meat, se estesa nel mondo, potrebbe impattare sul 4% delle emissioni globali di gas serra, contro il 14% della carne attuale. Inoltre lo sfruttamento dei terreni per la produzione, considerando l’edificazione di laboratori-fabbriche, richiederebbe 376 volte meno ettari di terra rispetto a quelli impiegati attualmente, consentendo la riforestazione o la riconversione agricola di molte aree.
Che si sia veramente trovata la soluzione?