Luglio è il mese dedicato alla celebrazione dell’unicità delle persone disabili e nasce per chiedere meno discriminazione e più diritti.
Luglio è considerato da qualche anno, a livello internazionale, come il “disability pride month”, ossia come il mese dedicato alla sensibilizzazione sul tema della disabilità, ma anche pensato per dare voce a chi la vive ogni giorno.
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L’uso del termine “pride”, normalmente sfoggiato dalla comunità LGBT+, e la scelta del mese di luglio, che segue il giugno “arcobaleno”, non sono certo casuali. Le persone con disabilità, giudicate tradizionalmente con pietismo, vogliono rivendicare la possibilità di essere orgogliose della loro diversità, senza nascondersi. L’idea che sta alla base di questo mese di festa è che la disabilità non sia una condizione positiva o negativa a priori, ma che sia considerata limitante solo perché la società attuale non è abbastanza attrezzata per farsi inclusiva.
L’idea di una pride parade dei disabili nasce a Boston, in USA, nel 1990. In quell’anno fu firmato il l’Americans with Disabilities Act, una legge che si prefiggeva di combattere la discriminazione delle persone con disabilità. Venticinque anni dopo, nel 2015, il sindaco della Grande Mela Bill de Blasio ha proclamato il primo disability pride month, che si è velocemente diffuso in tutto il mondo.
In Italia, in particolare, l’idea del disability pride è stata recepita fin da subito. Menzioniamo la primissima edizione del 2016 a Palermo e la successiva a Napoli nel 2017. Carmelo Comisi, già animatore delle prime edizioni, ha poi fondato la Disability Pride Onlus, che si occupa di sensibilizzare la popolazione sul tema della disabilità durante tutto l’anno.
Quest’anno il disability pride si estenderà oltre il mese di luglio, con due appuntamenti speciali a Roma il 24 e il 25 settembre, quando il parco Shuster sarà animato da interventi, musica e sport inclusivo.
Il disability pride è a nostro avviso un’occasione particolarmente importante per riflettere sul rapporto che il nostro Paese ha con la disabilità. I disabili, considerati ancor oggi con pietismo e quasi infantilizzati nelle loro esigenze, hanno ancora poche possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale. Dai mezzi pubblici poco attrezzati e pieni di barriere architettoniche ai sussidi troppo bassi, alle mille difficoltà nel viaggiare e nell’alloggiare fuori casa, all’inadeguatezza di cinema, festival musicali e teatri, e così via.
Per non parlare del diritto, finora reso di difficile godimento anche per i problemi di cui sopra, a una vita sentimentale e sessuale coerente con i desideri delle persone disabili, che non vengono quasi mai riconosciute pienamente nelle loro esigenze di amicizia, amore e intimità.
Infine è in corso anche un dibattito sui termini da utilizzare per descrivere la disabilità, che nel tempo hanno subito una grande evoluzione. Dall’uso di parole come “handicap”, “handicappato”, “diversamente abile”, giudicate obsolete e offensive, si sta ritornando a un uso consapevole e orgoglioso delle parole “disabile” o “persona con disabilità”, che non sono più da considerarsi come termini limitanti ma come vessilli identitari.
L’Italia deve ancora fare tanti passi avanti nel percorso di inclusione dei disabili che, ricordiamo, non sono solamente persone in carrozzina o allettate ma sono anche coloro che si portano dietro disabilità invisibili come quelle psichiche. Urge un cambiamento sia nelle istituzioni che nella mentalità, per un futuro senza più barriere.