Dopo la pandemia, arriva il doomscrolling, "l'azione di scorrere compulsivamente le pagine di un sito, la bacheca di un social network e simili, alla ricerca di cattive notizie". L'abitudine di tenersi aggiornati sulle sventure (dooms) scorrendo lo schermo del cellulare (scrolling) è stata accentuata dalla pandemia di covid prima, e dalla invasione dell'Ucraina poi. Per la nostra salute mentale è deleteria: interromperla è indispensabile.
Doomscrolling è un prestito integrale dall’inglese, composto di doom − parola che significa ‘sventura, destino infelice’ ma anche ‘condanna’ – e di scrolling (dal verbo to scroll ‘far scorrere’), termine in uso anche nella nostra lingua, registrato dai dizionari contemporanei come lo ‘scorrimento in senso verticale del testo sullo schermo di un computer’, ma anche di smartphone e tablet.
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Attestato in inglese a partire dal 2018, il termine doomscrolling si è diffuso in rete e nella stampa angloamericana ed è stato registrato nel 2020 da diversi dizionari inglesi come una delle moltissime nuove entrate lessicali legate alla pandemia. Giunto in italiano attraverso la rete, il termine indica il comportamento compulsivo per il quale non riusciamo a smettere di scorrere-scrollare, appunto- notizie negative, tristi o deprimenti, online e sui social network, innescando un circolo vizioso di malessere.
Diversi esperti e psicologi si sono attivati per mettere in guardia le persone dai pericoli e dalle conseguenze che tale comportamento può avere sulla salute mentale, suggerendo soluzioni pratiche volte a limitare l’uso dei social network o a promuoverne un utilizzo più consapevole.
Le cause del doomscrolling sono da cercare non solo nell’essere umano, ma anche nella tecnologia: gli algoritmi che fanno funzionare i social network sono pensati per tenere le persone incollate agli schermi, e "amplificano qualsiasi emozione ci faccia continuare a guardare, specialmente quelle negative" ha spiegato David Jay del Center for Humane Technology.
Anche lo psicologo Daniele Marchesi asserisce: “È un modo di evadere dalla realtà che crea un nuovo spazio emotivo virtuale e restituisce una serie di emozioni che non hanno nulla a che vedere con ciò che si ha intorno. Il pericolo è di farsi assorbire dalla propria mente, pensieri e sensazioni, perdendo il senso della realtà”.
Ora, se da un lato la capacità di provare empatia è fondamentale per le relazioni umane dall’altro, un suo eccesso verso situazioni tragiche, veicolate senza filtri e in presa diretta dai social media, può portare a continuare a ragionare in modo ripetitivo su pensieri negativi, un sentiero che può condurre ad ansia e depressione. Questa costante nuvola nera risucchia energie cognitive da altri compiti quotidiani e può creare problemi di attenzione e di memoria.
La spinta a cercare informazioni che sapremo ferirci è così irresistibile per varie ragioni pienamente comprensibili, anche se non sempre facili da accettare: il senso di sicurezza e l'illusione di controllo che ci dà il sapere le cose; la sensazione di sentirsi al sicuro mentre fuori tutto va a rotoli; oltre naturalmente al modo che i social media hanno di far emergere le notizie più di impatto. Ma prima di ogni altra cosa il doomscrolling è una forma di distrazione sempre a portata di mano: le cattive notizie abbondano e abbiamo il cellulare sempre in tasca.
Come ha spiegato Megan E. Johnson, psicologa clinica, all'edizione statunitense di Wired, «il doomscrolling è essenzialmente una tecnica di evitamento a cui ricorriamo per gestire l'ansia. Vedendo che le cose vanno male altrove, per un attimo ci si distrae da un'emozione spiacevole dovuta a un problema di lavoro, a una preoccupazione personale o relazionale. Solo che il tempo assorbito dal doomscrolling è tempo che togliamo a tutte quelle attività che potrebbero farci stare meglio: relazioni reali offiline, un hobby divertente, un lavoro soddisfacente, un allenamento all'aria aperta o semplicemente dormire”.
Quello che si crea è dunque un circolo vizioso di malessere.
Come intervenire? Per interrompere il doomscrolling, come anche quello che gli inglesi chiamano “envy-scrolling”, cioè lo spiare le vite degli altri sui social per ricavarne soltanto una profonda insoddisfazione personale, è necessario innanzitutto riconoscere la ragione all'origine di questo comportamento compulsivo. Se per esempio, si fa doomscrolling per distrarsi dall'ansia lavorativa, si può cercare di nutrire quel bisogno con la soluzione più facile e vicina: per esempio parlando con un collega, imparando a delegare, rivolgendosi a un affetto familiare o a un amico, prendendosi una giornata di riposo.
Quando ci sentiamo sopraffatti da una preoccupazione, pensiamo che raccogliendo il maggior numero di informazioni possibili su quell'argomento avremo la situazione più sotto controllo ma non è così: nell'era in cui viviamo non c'è limite al numero di informazioni che possiamo raccogliere e per quanto ci si sforzi di tenersi aggiornati si ha sempre la percezione di non sapere abbastanza.
Occorre riconoscere che una maggiore quantità di notizie lette di sfuggita non equivale per forza a un'informazione di qualità, anzi: troppi dati raffazzonati rischiano di aumentare il senso di insicurezza. Meglio restringere il numero di fonti, scegliendo quelle più autorevoli.
Oltre a limitare la quantità di informazioni digerite è utile fissare delle finestre temporali limitate in cui fruire delle informazioni online. Si potrebbe decidere di leggere i siti dei quotidiani a colazione o dopo pranzo, e di aggiornarsi sui social alla sera, ma di fare altro negli altri "momenti morti" della giornata. Anche stabilire delle barriere fisiche tra noi e gli smartphone è una buona prevenzione contro il doomscrolling: se si lascia il cellulare lontano dal letto eviteremo di cercare cattive notizie nelle ore notturne.
Le notizie su quello che accade nel mondo e nel nostro Paese sono una parte indispensabile della nostra vita quotidiana. È come col cibo: abbiamo bisogno di nutrirci per vivere, ma se mangiamo troppo e male otteniamo l’effetto contrario. Invece di un alleato, che ci fornisce energia, il cibo diventa un nemico, in grado di causare problemi psicologici e fisici a breve e lungo termine.