|  | ➤ Registrazione richiesta Per votare o inserire commenti è necessario registrarsi a Nirvam Cos’è il Quiet Quitting e perché è importante parlarne Dopo le “grandi dimissioni” ecco il “quiet quitting”, un ritiro silenzioso dal lavoro basato sull’idea che “meno è meglio”. Il quiet quitting è una tendenza nata dal basso ma che sta ottenendo sempre più attenzione da parte degli esperti. Si configura come il tentativo di porre un antidoto al fenomeno dilagante del burnout, agendo dalla radice e ridimensionando l’importanza del lavoro all’interno della propria vita. Il quiet quitting, come dice il nome stesso, è la proposta di un “ritiro lento”, l’alternativa silenziosa alle “grandi dimissioni”.
Link sponsorizzato
Prima di disquisire su questi fenomeni, un po’ di terminologia:
- Burnout: è uno stato di esaurimento comune soprattutto a coloro che svolgono professioni d’aiuto (medici, psicologi, ma anche poliziotti). Lo stress psicoemotivo causato dal lavoro, se non viene gestito bene, provoca alla fine un logoramento estremo. Negli ultimi anni si parla di burnout per qualsiasi lavoro.
- Workaholism: un termine che indica la dipendenza da lavoro (in inglese è una crasi di “lavoro”, work, e “alcolismo”, alcoholism). La tendenza a cadere in un sistema di vita dominato dal lavoro e dall’ossessione per i risultati potrebbe calare nei prossimi anni, contrastata da fenomeni come il quiet quitting.
- Grandi dimissioni: una tendenza nata nel 2021 negli USA, dopo che il locale governo si era mostrato inefficiente nel proteggere i lavoratori dalla minaccia del Covid. La parola, subito diventata iconica, designa le dimissioni di massa che molte aziende hanno subito nonostante la crisi e l’elevato tasso di disoccupazione nel Paese. Questo fenomeno si è riscontrato, in misura minore, anche in Europa e in Italia.
- Quiet quitting: la nuova tendenza per contrastare il burnout senza giungere all’estremo, ossia alle dimissioni. La strategia è il “fare il minimo indispensabile”, “non strafare”, evitando che il lavoro diventi il perno della propria esistenza.
Gli scossoni causati dai recenti avvenimenti internazionali potrebbero avere accelerato un’evoluzione forse inevitabile nel nostro rapporto con il lavoro. La cultura del sacrificio sta perdendo terreno e si sta enfatizzando il ruolo del lavoro come necessità meramente pratica, necessaria al sostentamento e poco più.
L’idea che sta alla base del quiet quitting è semplice: il mondo del lavoro è un inferno perché noi permettiamo che lo sia. I diritti dei lavoratori (come quello alla giusta paga, disconnessione, ma anche alla malattia) sono continuamente calpestati perché i lavoratori stessi accettano gli straordinari non pagati, la reperibilità h24, le paghe troppo basse. Se tutti, semplicemente, lavorassero il minimo stabilito dal contratto e non di più, forse lo sfruttamento avrebbe fine?
Come alcuni esperti fanno notare, il fenomeno del quiet quitting è sempre esistito, anche se non si chiamava così. Era l’atteggiamento che spingeva i dipendenti a timbrare il classico “cartellino” all’ora esatta di entrata e di uscita previste dal contratto, senza impegnarsi un secondo di più di quanto stabilito. La differenza è che un tempo questi lavoratori erano malvisti, giudicati pigri o addirittura parassiti, mentre oggi il giudizio è cambiato.
Il quiet quitting è un fenomeno positivo o negativo? Dipende. Per alcune persone riprendersi i propri spazi e fare più attenzione alla qualità della vita privata rappresenta un grande risultato; per altre, il ritiro silenzioso è semplicemente una “toppa” che si sceglie di mettere sulla propria vita quando non si ha il coraggio di cambiarla.
È importante che ognuno impari ad ascoltarsi profondamente, a stabilire obiettivi sani e a diventare cosciente dei propri strumenti per avere una vita lavorativa e personale migliore.
Per piacere inserisci un commento Grazie per aver immmesso il tuo commento! Il commento verrà validato dai moderatori e poi pubblicato Grazie per aver immmesso il tuo commento! Il commento verrà validato dai moderatori e poi pubblicato |